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Teca IX.1 Le Satire di Decimo Giunio Giovenale commentate da Josse Bade e Giovanni Britannico

Giovenale, Satyrae, con i commenti di Giovanni Britannico e Josse Bade, Venetiis, ex aedibus Francisci Bindoni et Maphei Pasini, 1548.

B.L. F.MAR. 2.26

Questo volume è un’edizione, commentata da Giovanni Britannico (1462-1518) e da Josse Bade (1462-1535), delle Satire in esametri del poeta Decimo Giunio Giovenale (55-135 d.C.), apparse per la prima volta a Roma nel 1496 e divenute immediatamente un successo editoriale.

Giovenale ci offre un ritratto, a volte più vibrante di sdegno, altre più saggiamente riflessivo, della società del suo tempo, ma anche un’immagine dell’uomo, con le sue ansie, le brame, il tormento del vivere quotidiano. È fervente nel poeta un sentimento di dignità civica offesa, di coscienza vigile delle responsabilità storiche della romanità. Emerge dalla sua opera il sincero anelito ad una restaurazione morale della società nel suo complesso ed alla connessa rifondazione di una accettabile condizione umana e civile, che rendono la sua critica delle istituzioni e dei costumi (schiettamente romana) costruttivamente umanistica.


Si espone l’incipit della quarta satira di Giovenale (55-135 d.C.). L’indignatio dell’autore è suscitata dall’imperatore Domiziano e dalla sua corte, i quali, invece che occuparsi di questioni decisive per le sorti del popolo, discutono su come cucinare un gigantesco rombo, donato all’imperatore. 

Poiché il grosso pesce non entrava in nessun tegame, il consilium principis decise che non sarebbe stato fatto a pezzi, bensì che si sarebbe costruita, appositamente per la pietanza, un’enorme padella di terracotta. È evidente l’intento parodico del poeta, che porta all’esagerazione comica il racconto di quelli che dovevano essere i semplici preparativi di una cena.


Si espone l’incipit della dodicesima satira di Giovenale (55-135 d.C.). L’autore narra il naufragio a cui è scampato un suo amico e il sacrificio che sta offrendo agli dei come ringraziamento per la salvezza insperata di questi. Il poeta specifica che il suo sacrificio è fatto per amicizia e senza che vi sia nessun interesse personale in ciò, non come i cacciatori di eredità, la cui amicizia nei confronti dei vecchi senza eredi è tutt’altro che disinteressata. 

Nessuno conosce più il sentimento dell’amicizia e tutto si fa per interesse: Giovenale afferma che se c’è una ricca eredità in ballo, qualcuno potrebbe persino arrivare a sacrificare la propria figlia, come nel caso di Ifigenia.